Luca Belcastro
Diario sudamericano
Viaggio tra riti, musica e natura
LIBRO - in italiano
Moretti&Vitali 2012
Daniele Stefanoni
Une saison en enfer
Luca Belcastro è un riconosciuto compositore italiano che ha fatto una scelta precisa: lasciare i successi, i concorsi e il competitivo mondo musicale europeo per avviare Germina.Cciones..., un progetto culturale robusto di valorizzazione e sostegno della musica dell'America Latina.
Ci ha raccontato tutto questo in Sacbeob - Scritti latinoamericani, la sua opera prima che narra le ragioni profonde di questo viaggio anche spirituale che lo ha condotto nel mezzogiorno del mondo. Abbiamo scoperto che si tratta del viaggio di scoperta di un orizzonte lontano negli usi e nei costumi, ma gravido di quell'affettività e di quel calore che il suo Occidente sembrava non possedere più ai suoi occhi. Abbiamo scoperto che il disagio per un sistema di vita, di relazioni sociali e di "fare musica" all'europea portava con sé anche il rifiuto per una vita che qui, in Europa, gli pareva priva di senso.
Invece, tra luoghi incantevoli e incantati, riflessioni pedagogiche sull'insegnamento della musica e la scoperta di un orizzonte latino inimmaginato, non da turista ma da vero viaggiatore è arrivato il seguito del primo percorso.
Il Diario Sudamericano - Viaggio tra riti, musica e natura è il continuo inequivocabile di questo viaggio. La dimensione della scoperta, della novità umana, musicale e relazionale che permeava il primo volume lascia spazio prepotentemente ad altro. Alla scoperta, ad esempio, che nella sua Europa non c'è il deserto degli affetti, ma una famiglia che assiste silente a un viaggio lontano che forse non capisce, ma che rispetta. La madre di Luca non c'è più, una malattia fulminea se l'è portata via. Anche questo ha dato uno scossone umano al riflessivo e schivo compositore in viaggio per il globo. Il suo itinerare si interroga su se stesso, si percepisce ora come una migrazione ora come una fuga, ora come un viaggio catartico nell'inferno del proprio buio per risalire la china verso le stelle, ora come un testamento necessario da lasciare a chi vorrà accettarlo.
Luca Belcastro appare ora come l'uomo degli opposti, dei contrasti. Tra ricchi e poveri. Ma lui ha scelto i poveri. I poveri veri, non come uno dei moderni Conquistadores a caccia di trofei australi da esibire nei circoli ufficiali di pompose organizzazioni che hanno finanziato l'impresa. Niente di tutto questo, solo i conti che non tornano quando i biglietti aerei costano troppo o la paura dell'irreparabile durante una rapina bella e buona in un taxi nell'estrema e notturna periferia latina.
Altro contrasto è tra il turista e il viaggiatore. Belcastro si trova talvolta ad essere turista suo malgrado, con l'occhio disincantato di colui che percepisce la sfumatura contemporanea da colonizzatore che si cela dietro questo termine. La sua natura è quella del viaggiatore con lo zaino sdrucito in spalla e l'abito per tutti i climi, di fronte a una natura che lo entusiasma e lo allibisce, lo spaventa e lo estasia. Tutti hanno radici, ma lui no, deve viaggiare, deve scoprire. Il mondo e forse se stesso. E infatti, un altro contrasto grandissimo è proprio dentro il suo animo. Comincia il suo diario in terza persona, come se si vedesse vivere dall'esterno, come se stesse dialogando con la sua anima tra la delusione e la malinconia ma senza coincidere con esse, attratto dal viaggio, dall'altro, dal lontano. Bruscamente c'è il passaggio alla prima persona, riemerge l'io più profondo come liberato dalle sovrastrutture ingombranti e soffocanti che le parentesi di ritorno in Italia paiono arrecargli.
Segue un'operazione psicologica raffinata, fatta di scoperte anche amare, di nostalgie drammatiche del viaggiatore-Ulisse che ripensa alla sua Itaca ma che sa di non potervi tornare, sa di dover continuare a prendere il largo verso l'insicuro. E non capisce perché.
Il suo immaginario adolescenziale che nessuno capiva fino in fondo, popolato di canzoni sudamericane melodiche, compagnia di anni lontani, si trasforma ora in realtà, diventa un momento di condivisione con un popolo e con una cultura. E qui entra in gioco l'artista che vede il mondo a colori, toni e melodie. I suoi progetti musicali vogliono tutelare e valorizzare l'espressione musicale locale come esito di quella cultura antica e autonoma che i vari monopoli cultural-economici internazionali potrebbero sacrificare, snaturare.
L'intellettuale navigato, l'artista ben inserito nel sistema, l'uomo sicuro di sé e del mondo lo potrebbe giudicare un po' naif, lo potrebbe liquidare come abbagliato da quella francescana fiducia nell'umanità che neppure gli uomini capiscono fino in fondo, illuso da un pacifismo à la carte che è praticato da chi siede nei grandi palazzi lindi del Vecchio Continente. Ma basta leggere qualche decina di pagine per capire che la realtà è diversa, che il suo è un punto di vista sincero sul mondo e sulle cose che costa lacrime e sangue, che è un lavoro di auto-analisi continuo e greve, che è una via necessaria attraverso la scomodità, la fatica, l'esclusione, l'assenza di radici vere e rassicuranti. Se la fatica dei propri ideali è l'unico termometro valido per autenticarli, Belcastro rischia in proprio e naviga a vista nell'incertezza e nella variabilità.
Il suo diventa un Diario personalissimo, interiore, une saison en enfer che non tutti potrebbero capire ma che lascia il segno tangibile di una via per lui inevitabile.